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Il calcio prova a ripartire

 

 

Articolo di Alessandro Magno

 

 

Ieri è ripartita la Bundesliga . I tedeschi che ridevano di questa pandemia e sono stati fra gli ultimi a fermare tutto ora riprendono per primi. Nello stesso giorno in cui il Belgio decide la chiusura anticipata del campionato, strada già scelta da Francia e Olanda. Al solito l’Italia dimostra di non saper scegliere e cerca di vivacchiare in attesa di andare dove tira il vento. Purtroppo sappiamo quanto manchi di spina dorsale la politica nella nostra nazione ma questo è un altro discorso. In Germania han ripreso senza pubblico ( con sagome di cartone in sostituzione dei tifosi) , con le nuove regole, vietati gli abbracci e le strette di mano, mi chiedo se basteranno visto che giocano con un pallone che passa di piede in piede, di mano in mano, di testa in testa.

In Italia si vuol riprendere a tutti i costi soprattutto per volere di Lotito e della Lazio che con il campionato bloccato a un punto di distanza dalla Juventus capolista, si sentirebbero defraudati di uno scudetto che pensano di meritare nonostante, non siano mai stati una sola giornata in testa al campionato. Per un certo periodo di tempo il delegato alle pubbliche relazioni laziale Diaconale non ha smesso un momento di punzecchiare la Juventus e gli organi ufficiali, salvo ammalarsi e sparire dalla circolazione. Si dice il Karma in questi casi, ovviamente gli auguriamo una pronta guarigione, noi che abbiamo ancora la testa sul collo e mettiamo la vita davanti al calcio. La nostra vita come quella degli altri.

La Lazio fra l’altro, pronti via, con gli allenamenti ha subito violato il protocollo, facendo Inzaghi e i suoi, partitelle gli uni contro gli altri, che al momento sarebbero esplicitamente vietate. Ovviamente tutti si sono lamentati nessuno ha preso mezzo provvedimento. L’impressione verosimile è che bisogna giocare fino a nuova, più che probabile sospensione, e continuare a tenere la Lazio dietro, magari ancora meglio distanziarla di qualche altro punto e mettere la parola fine su questo cinema. Nessuno mi toglie dalla testa che se i biancocelesti fossero in testa in questo momento, questo campionato sarebbe già stato assegnato loro e sospeso. Con tutto rispetto la Lazio ci fregò già uno scudetto a Perugia direi anche basta.

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Articolo di Enzo Ricchiuti

L’ormai quasi certa partenza di Vidal.

Amen. S’è fatto un grosso errore perché è un jolly completo, un leader, un uomo goal e privare la squadra di un altro punto di riferimento dopo Pirlo e Tevez è un azzardo. Auguro a tutti di affezionarsi a qualcun altro.

I nuovi acquisti della Juve Mandzukic, Zaza, Khedira, Dybala, Rugani.

Rugani sembra forte ma sembrava fortissimo anche Ogbonna. Khedira e Dybala li aspetto al varco con curiosità: dopo le partenze eccellenti questi sono i nuovi titolari e spero non abbiano nell’ordine problemi di salute e problemi di braccino. Mandzukic, non ho grandi aspettative. Nel senso buono. E’ uno di quei cavalli che rendono poco ma spesso. Zaza, bisognerebbe capire dove si guarda perché a volte è un po’ un Quagliarella psichedelico. Non si capisce dove mette i piedi e dove la testa. Al momento la certezza è che lo Psycho Quaglia lo si guarderà in panca.

L’assoluzione di Moggi su Facchetti e l ‘arciviazione di Lotito nel caso Ischia calcio.

Ho letto che c’è gente che ha scritto che Facchetti comunque non è stato processato a Napoli e quindi è stato una persona pulita. Questa sciocchezza, ricordiamo che i morti non si processano, apparentemente dotata di umanissimo buon senso fa capire perché a Facchetti resti intitolato il torneo Primavera. E’ il mito del piccolo padre. Letteratura, interessi, coglioni dappertutto. Per abitudine o per passione. Magari la generazione dei nostri figli butterà a terra le statue di Facchetti, in passato son cadute quelle di Stalin e Saddam. Che Moggi venisse assolto era ora ma è significativo si sia ottenuto qualcosa in una battaglia laterale. Si vede che non fa più tanto caldo intorno all’argomento oppure si vede che i giudici stavolta avevano l’aria condizionata. L’archiviazione di Lotito ? Il giudice Palazzi quando vuole valuta ciò che ha. Senza interpretare. In sede penale sarà lo stesso, Iodice e la stampa che gli è corsa dietro non conoscono il meccanismo tecnico con il quale si esercita pressione non commettendo violazioni. In altre parole, non conoscono il potere che spesso non è che padronanza della tecnicalità. Scommettiamo che se domandi ad Andrea Agnelli quali sono i fondi a bilancio da manovrare, a quale capitolo e chi è il ragioniere che fa i bonifici ti guarda, s’accende la sigaretta e parla al Wall street Journal di plusvalenze belghe e Padrenostro ?

 

 

 

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Di Enzo Ricchiuti

 

La finale di coppa Italia e il valore di questa coppa.

La finale di Coppa Italia come evento è pacchiano. Più simile a quelle imbarazzanti mangiate di zucchero filato di paese di quanto dovrebbe. Sarà che i Presidenti sono anziani o le cantanti poco formose ma il SuperBowl è un’altra cosa. Come partita invece è di ottimo livello e la Coppa ha gran valore. E’ finita l’epoca in cui andava giustamente sottovalutata. La Juve l’ha meritata perché ha saputo subire e programmare finendo in crescita mentre loro si sono esibiti come una volta vedevo fare a calcetto i neo fidanzati con la neo fidanzatina in tribuna: i primi 10 minuti eroici, il tempo che lei non cominciasse a scocciarsi di guardare. Lui.

L’eroe di coppa italia.

Allegri: il ritorno a Firenze non era facile.

Lotito ?

E’ un personaggio positivo. Certo, fa storcere il naso a chi vorrebbe una classe dirigente fascinosa e ipocrita. A me invece il suo approccio diretto e poco filtrato, i suoi telefonini stereo, la sua stessa loquela mi rassicurano: se c’è qualcuno che pensa di fare meglio di Lotito si accomodi ma se qualcuno pensa di essere meglio di Lotito e avere il diritto a prendere il suo posto per il cognome che porta questo qualcuno non ha che dimostrarlo coi fatti. Se sei italiano dentro ce la fai. Ma se hai studiato fuori e hai pure la moglie inglese devi sperare solo di diventare più intelligente che te stesso.

È UNA JUVE IN CRISI.

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di Davide Peschechera

La 26.a Supercoppa italiana prende la direzione di Torino. È stata una Juve già più cinica del passato, capace di colpire al momento giusto, sprecare di meno e rischiare ancora meno, implacabile e spietata. Risultato nitido, rotondo, inappellabile, costruito con misura, giustezza e tempismo. Secondo, terzo e quarto goal della Juve sono stati realizzati in 4 minuti e 41 secondi, più o meno 400 secondi, per essere precisi: secondo gol che è un coast to coast, in contropiede fulminante, su corner inesistente per la Lazio, con un Vidal freddo e intelligente nel lanciare Lichtsteiner, un Chiellini che colpisce di destro con un contro movimento da attaccante. Lichtsteiner con l’inserimento, triangolo col tacco e tocco beffardo per il terzo gol; Tevez con i suoi 10kg. in più e la solita freddezza realizza il quarto gol, dopo la geniale illuminazione di Vucinic, la parata di Marchetti su tiro di Lichtsteiner e la lucidità di Pogba. Poi Rocchi fischia la fine della partita senza concedere neanche un minuto di recupero, con persino alcuni secondi d’anticipo, pur di non assegnare un rigore netto per fallo su Vidal in area. Sarebbe stato cappotto. Squadra potente, prepotente e geniale. La tournèe americana aveva sollevato qualche malumore, i lamenti della vigilia avevano trasmesso qualche perplessità. Un precampionato sottotono, non positivo e qualche giro a vuoto di troppo, avevano fatto pensare a una Juventus in difficoltà. La Juve è arrivata all’appuntamento senza troppe certezze e con un mercato ancora in divenire, dopo aver fatto vedere poco o niente del suo reale potenziale in questo precampionato, col timore che si verificasse l’effetto “pancia piena”, la cosiddetta “sindrome di appagamento”, o che tra i giocatori si diffondesse la disabitudine alla vittoria. E poi i soliti imprevisti fuori programma: i media che hanno cercato di inventare polemiche inesistenti su neoacquisti che non funzionerebbero, la Juve che si è allenata a Trigoria dopo aver calpestato un campo da Terza Categoria, ospite della Roma per l’allenamento saltato alla Borghesiana appena giunta nella Capitale. Dopo le spie di Mazzarri dello scorso anno, non ci siamo fatti mancare nulla neanche quest’anno. Neanche la polemica sulla località e gli incassi. Si è giocato all’Olimpico(insomma, vinci lo scudetto e vai a giocare la Supercoppa in casa di chi il campionato l’ha perso) ma si finirà per tribunali perché il 5 settembre la Corte di giustizia federale, a sezioni unite, discuterà il ricorso della Juventus contro la decisione del consiglio di Lega di fine giugno che, per la prima volta nella storia, ha infranto il principio della suddivisione a metà dei proventi. Lo ha fatto per «ricompensare » la Lazio dei mancati introiti della trasferta cinese, cui la Juve ha rinunciato per la contemporanea tournée in America. A Lotito è stato garantito un minimo di 1,8 milioni, cioè la somma dell’ingaggio di Pechino e dei diritti tv. Ai bianconeri sarebbe andato il resto, fino all’eventuale pareggiamento della quota biancoceleste. Com’è andata a finire? La Juventus ci ha rimesso 600-650 mila euro perché l’incasso al botteghino dell’Olimpico è stato di 1,9 milioni lordi. Se invece si fosse proceduto con la ripartizione a metà le due finaliste avrebbero incassato 1,15 milioni a testa. Vabbè. Lotito voleva incassare più della Juve? Accontentato.

È stata la vittoria di un gruppo e di un gioco collaudato. Appena si è trattato di fare sul serio gli uomini di Conte hanno uscito gli artigli e non hanno lasciato scampo alla Lazio apparsa invece troppo guardinga. La tournèe americana aveva alimentato le speranze e le aspettative degli avversari dei bianconeri. Molti saranno rimasti delusi. Perchè non c’è mai stata partita e la Juve, quando c’è da scendere in campo per vincere, c’è sempre. Strapotere sotto il profilo dell’approccio mentale e dell’interpretazione tattica, altro che crisi di condizione, gioco e risultati. Una superiorità totale a livello di reparto e prestazioni individuali e collettive. È ancora una volta il trionfo del gruppo, della compattezza, della feroce capacità di concentrarsi quando si fa sul serio, mentalità che Conte ha saputo infondere ai suoi giocatori. Il flusso delle azioni bianconere scorre ancora per vie centrali anche se l’arrivo di piedi sopraffini come quelli dell’Apache, che ieri ha messo a segno il primo gol ufficiale in maglia bianconera (quarto uomo della storia juventina a segnare in Supercoppa Italiana al debutto assoluto dopo Baggio, Inzaghi e Asamoah), il 200esimo in carriera e il 16esimo titolo in cassaforte, rende la manovra più liscia e imprevedibile. La manovra è stata edulcorata dall’innesto di qualità dell’argentino che, seppur ancora a intermittenza, ha saputo legare e giostrare gli inserimenti dei centrocampisti con tanta sapienza quanto il solito Vucinic. Indolenti, a volte, inarrestabili, spesso, proprio come all’Olimpico. L’argentino infatti è parso già sfrontato, coraggioso e decisivo. Dietro a Vucinic, che ha agito da pivot, con cui ama regalarsi fraseggi stretti, funge da boa e punto di riferimento quasi sempre insidioso farcendo trame per gli inserimenti altrui.

C’è stata maggiore cattiveria agonistica e concentrazione. La Juve è riemersa nella totale forza di un gruppo granitico dall’ondata di critiche dopo un’estate povera in fatto di risultati. La ferocia con cui gli uomini di Conte hanno inseguito il trionfo all’Olimpico è il risultato di una squadra intensa al limite dell’esasperazione, cinica nel colpire e assetata di sangue nel non mollare mai, nemmeno a partita chiusa con il condottiero in piedi davanti alla panchina a urlare dietro a tutti per un passaggio sbagliato. Gruppo che semplicemente non accetta l’idea stessa della sconfitta ed è capace di saltare sopra ogni ostacolo. Ancora una volta, infatti, Conte ha puntato tutto sulle motivazioni, il lavoro, la preparazione e la fame per ripartire e ricominciare e la squadra si è ritrovata alla grande. I deludenti ed evitabili, ma non preoccupanti, risultati della tournèe sono dovuti alla mancanza di voglia, di cattiveria, di attenzione, di fame. Calo di concentrazione. Una delle certezze di questa squadra, il tipo di calcio praticato, difficile ma affascinante, è anche programmato per l’unica, vera necessità che è quella dell’obiettivo, della vittoria, dei punti, del risultato, della conquista: la conquista, in questo caso, della 6a Supercoppa. La quasi mai avvenuta ricerca della realizzazione e della verticalizzazione, negli USA, ma solo l’ampiezza del gioco e qualche taglio degli esterni, era la dimostrazione che le gambe della squadra erano veramente pesanti e la squadra lunga e arrugginita. Ben vengano quindi gli schiaffi che abbiamo rimediato e che ci hanno riportato sulla terra, in questa estate che può dare il via ad una stagione veramente da record, se si riuscisse a vincere il terzo Scudetto consecutivo, impresa mai riuscita. Bagno di umiltà salutare, i risultati del calcio estivo sono destinati a essere spazzati via e non hanno fatto altro che riconfermare che la Juve ha, nelle sue corde, caratteristiche imprescindibili come la rabbia e la cattiveria a agonistica che non devono mai mancare. Se mancano quelle, si perde almeno il 60% del lavoro. Conte spinge continuamente il gruppo ad andare oltre la fatica e superare nuovi limiti, facendo leva sull’orgoglio e sullo stimolo al confronto che evidentemente in un atleta è insito nel profondo, per spronarlo a non mollare la tensione ed a far stare tutti sul pezzo, battendo il senso di appagamento. Per questo Conte ha parlato di uomini, prima che di giocatori.

Si è parlato anche di  cambio modulo, di 334, pur d’inventarsi qualche novità, ma mai come quest’anno, la Juve è sempre la stessa, riparte dagli stessi principi di gioco ma con l’aggiunta di Tevez. Più che altro il 334 è un “atteggiamento” che assumono i due sterni in base alla posizione in campo che ricoprono e che non considera il “ruolo” in se per se dei giocatori. L’obiettivo principale del mister, infatti, è sempre quello di mantenere grande equilibrio, coprendo sempre la stessa larghezza di campo di 40 metri  ovunque ci si trovi, sia in una situazione di transizione offensiva che di transizione difensiva. Per questo di 334 non si può parlare ma è una triste invenzione giornalistica, un divertente passatempo estivo più che un vero e proprio cambiamento di cui parlare. Al massimo, se proprio si vuol parlare di 334, bisogna ammettere che già dallo scorso anno gli esterni erano perennemente presenti nelle azioni d’attacco con improvvisi tagli e con una prima pressione sui giocatori avversari sempre molto alta. Quindi di 334 si dovrebbe parlare già da un po’. Invece lo si fa ora per cercare la novità continuamente, lo scoop che in realtà non c’è. La Juve di Conte è bella e collaudata, sarà ancora 352 con la speranza che i nuovi acquisti alzino il livello tecnico tattico dell’attacco poiché la vera sfida per il mister non è quella di cambiare il suo schema per l’Europa, ma al contrario di dimostrare a tutti che, con i giusti interpreti, questo schema può essere devastante anche contro l’elite del calcio continentale. In molti hanno visto nel passaggio dal 433 al 352 la voglia, da parte del mister, di coprirsi e non subire troppo per non rischiare, spesso, il risultato. In molti hanno visto in lui, nelle ultime settimane, una rabbia compressa, un’ansia nervosetta, il timore o la strategia di alzare la tensione dove la tensione evidentemente si era abbassata per non ritrovarsi un giorno a fallire un appuntamento con lo spettro terrificante di doversi assumere tutte le colpe e dover dare giustificazioni. Il mister, invece, ha sempre spiegato la scelta del 352 come “il vestito, la coperta migliore per questa squadra, avendo in rosa 3 difensori e 3 centrocampisti fortissimi in grado, da soli, di dare sicurezza e copertura alla squadra”.

La partita si è chiusa con l’inno della Juve nello stadio Olimpico di Roma, altissimo nel cielo a coprire tutte le parole che si erano sprecate dopo le amichevoli estive. A coprire tutte le polemiche per la località e gli incassi. Nello stadio del Coni, della Nazionale e dei rosiCONI. Nello stadio in cui tutti hanno spinto per giocare perché tutti volevano così. Col mister che abbraccia uno per uno i suoi uomini, prima che giocatori. Con Lichtsteiner che s’inchina ai suoi tifosi. Con Lotito inquadrato a 3 minuti dalla fine guardare l’orologio e chiedere “quanto manca?”. Ma la partita si chiude anche con Petkovic che a fine gara ha riconosciuto i meriti della Juve, con Klose che dignitosamente non ha gettato la medaglia del secondo posto ed ha applaudito Buffon che alzava la coppa al cielo. Poi ci sono anche gli ululati razzisti, i nostri che non hanno lasciato il campo perché non si chiamano né Constant, né Balotelli, né Boateng, Pogba che definisce ignoranti questo pseudo-tifosi frustrati, l’annuncio dello speaker dello stadio e la squalifica della Curva Nord nella prossima partita dopo la segnalazione di Rocchi nel referto di gara. Il finale più bello è il nostro, che invece di godere delle disgrazie altrui viviamo delle nostre vittorie. Non essendo “proiettati nel futuro” come il presidente Lotito, viviamo delle vittorie presenti. Perché la storia si scrive vincendo le partite che contano. “Le grandi squadre e i grandi giocatori escono in questi momenti. Si vede questo quando conta la partita e non in tournée in Giappone, in Cina e in America. I grandi campioni quando la posta in palio è alta escono”. Parola di Buffon. Tutto il resto lo lasciamo agli altri.

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