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Roberto Baggio | Dario legge Il pallone racconta di Stefano Bedeschi

Roberto Baggio Dario legge Il pallone racconta di Stefano Bedeschi #Baggio #juventus #megliodiniente #robertobaggio #ilpalloneracconta #stefanobedeschi megliodiniente.com Giovane talento nato in provincia di Vicenza – scrive Renato Tavella nel suo libro “Il romanzo della grande Juventus” – e passato a deliziare il palato, sempre esigente, dei tifosi della Fiorentina. La vicenda che lo conduce alla Juventus trattiene tutti gli ingredienti dei “gialli” d’autore. La piazza fiorentina che scende in protesta per conservare il suo “gioiello”. Quella bianconera che vede nell’astro emergente la possibilità di rimettere sul gradino più alto la squadra del cuore. Le schermaglie fra le due dirigenze; le voci continuamente smentite, messe in circolazione dai giornali, che vanno a nozze quando si creano situazioni tanto viscerali. Poi il personaggio, il protagonista. Baggio è un ragazzo sensibile, dice che il cuore conta e anche davanti al danaro sa far valere le sue ragioni. Firenze è una città che ama, la squadra gli piace, l’ambiente lo carica. Alla Juventus, che sarà? La vicenda avvince, si scrivono fiumi di parole. In verità, la bravura del giocatore giustifica tanto trambusto. Ha talento. Gioca con fantasia, è ambidestro, segna e fa segnare i compagni. Il carattere è un po’ ombroso, ma l’uomo deve ancora crescere e farsi. Con queste premesse comincia l’avventura juventina di Baggio, che durerà cinque anni. Con i colori bianconeri vince uno scudetto, una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Sarà inoltre premiato con il Pallone d’Oro nel 1993 e col premio FIFA World Player nel 1994. Ma non riuscirà mai a entrare nel cuore dei dirigenti bianconeri (celebre è rimasto l’appellativo di Coniglio Bagnato, coniato dall’Avvocato) e nemmeno in quello dei tifosi, che non gli perdonano il togliersi la sciarpa bianconera durante la sua presentazione alla stampa. «Mi ricordo ancora la scena – racconta Antonio Caliendo – quando Baggio passò dalla Fiorentina alla Juventus, in conferenza stampa, davanti ai giornalisti gli misero al collo la sciarpa bianconera e lui la gettò via. Fu un gesto imbarazzante. Io dissi che il ragazzo andava compreso: era come se avessero strappato un figlio alla madre. Ammetto che, quella volta, rimasi molto colpito anch’io». «Non avevo nulla contro i bianconeri – dirà anni dopo Baggio – è che volevo restare a Firenze. E poi la società fece un gioco non bello. Mi vendette senza dirlo. Io dicevo ai tifosi che non sarei andato via e un bel giorno scoprii che, tenendomi all’oscuro di tutto, mi avevano ceduto. Si faceva così, allora. Poi si dava la colpa ai giocatori che volevano andar via per soldi. Balle, almeno nel mio caso. Io volevo restare per gratitudine per la gente di Firenze. Per i primi due anni non ho giocato. Mi hanno aspettato e voluto bene. Come fai a dimenticarli?» La goccia che fa traboccare il vaso avviene il 6 aprile 1991, quando ritorna per la prima volta a Firenze con la maglia della Juventus. Baggio gioca male e si rifiuta di tirare il rigore che potrebbe dare il pareggio alla squadra bianconera; sostituito dopo un’ora, uscendo dal campo raccoglie una sciarpa viola lanciata da una ragazza dei distinti. Il boato di gioia della gente di Firenze è pari soltanto all’uragano di fischi dei tifosi bianconeri. Qualità tecniche superlative, nessuno può metterlo in dubbio, da fuoriclasse assoluto ma che, onestamente, non lo è stato per limiti fisici e caratteriali. La vittoria al Mondiale americano gli avrebbe insegnato a vincere, invece, quel rigore sbagliato lo consacrò definitivamente come Coniglio Bagnato. L’infortunio dell’anno dopo, che gli fa saltare praticamente tutto il girone d’andata, e l’esplosione di Del Piero, lo relegano di nuovo al ruolo di ciliegina sulla torta, come accadrà in seguito al Milan. Il palmarès è troppo esiguo per includerlo nell’Olimpo e, a ben vedere, in nessuno dei due scudetti fu veramente decisivo, anche se non solo per colpa sua. Pochi, infatti, ricordano che, per lunghi anni, è stato l’oggetto delle polemiche di chi lo considerava un raccomandato, sull’altare del quale veniva sacrificato Zola. Poi, piano piano, è diventato l’idolo del circo televisivo, per assurgere a vittima di Del Piero; la bellezza del nostro sistema giornalistico. Con la Juventus, oggettivamente, ha fatto il massimo; aveva contro un Milan inavvicinabile e, quel poco che ha vinto (tranne lo scudetto), lo ha fatto da protagonista quasi assoluto (la Coppa Uefa la vinse da solo, finale a parte). Unico lo è stato sicuramente per la capacità di dividere l’opinione pubblica. Gli ultimi anni era diventato insopportabile per l’aura di santità che circondava qualsiasi cosa dicesse o facesse. A suo favore, il fatto che lasciato il calcio sia sparito, senza lucrare sulla sua popolarità immensa. Davvero un personaggio controverso che, però, ci ha lasciato almeno una trentina di goal indimenticabili.

COSÌ LO RACCONTA CAMINITI, NEL 1991…

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⚽ Gianluca Vialli | da il pallone racconta di Stefano Bedeschi

Nasce a Cremona il 9 luglio 1964 e proprio nella squadra della sua città natale inizia la carriera, arrivando a disputare quattro campionati in prima squadra, contrassegnati da due promozioni: dalla C1 alla B nel 1980-81 e dalla B alla A nel 1983-84. La villa dei Vialli, a Cremona, tutti chiamano ancora Castello. Perché sono ricchi, i Vialli. Vecchia storia: «Quello è il figlio di un miliardario», dicevano. Allora, Gianluca si infastidiva e la madre Maria Teresa smentiva: «Borghesi, ecco che cosa siamo. Diciamo che stiamo bene, non ci lamentiamo di certo. Mio marito lavora ed ha cinque figli grandi: come potrebbe essere ricco? Gianluca ha un modo di fare elegante che non dipende dai soldi, ma dalla tradizione di una famiglia della quale fanno parte ingegneri, professionisti ed anche un rettore universitario». Nell’estate 1984 passa alla Sampdoria, con la quale esordisce in Serie A il 16 settembre, proprio contro i grigiorossi: la partita si gioca a Genova e finisce 1-0 per i padroni di casa. Il suo arrivo coincide con il periodo d’oro della società blucerchiata, ancora a secco di vittorie a livello nazionale e internazionale. Negli otto anni di permanenza conquista tre Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, uno scudetto e una Supercoppa di Lega. Si permette il lusso di dire “no” al Milan; tantissimi soldi alla Sampdoria e un ingaggio da re: «Ringrazio il presidente Berlusconi, ma voglio restare a Genova. Ho bisogno di un ambiente come questo della Sampdoria. E poi adesso è una grande squadra, hanno smesso di considerarci dei piccoli viziati perennemente con la testa fra le nuvole. Voglio vincere qua, poi ci penserò». La delusione più grande arriva proprio il giorno della sua ultima partita nella Sampdoria, la finale di Coppa dei Campioni contro il Barcellona persa 1-0 ai tempi supplementari, pochi minuti dopo la sua uscita dal campo. Si rifarà quattro anni più tardi con la Juventus, vincendo il trofeo ai danni dell’Ajax, ed anche in quell’occasione si tratta del passo d’addio: è il coronamento a quattro stagioni indimenticabili in maglia bianconera, iniziate nel 1992-93 con la Coppa Uefa e proseguite con scudetto, Coppa Italia e, appunto, Coppa dei Campioni. Vialli, all’inizio, vive Torino sognando Genova. Il mare di Nervi è tutta un’altra cosa rispetto al Po e la Juventus è molto lontana dal Pianeta Samp, dove Boškov lasciava vivere tranquillamente i giocatori. Nella sua seconda stagione in bianconero, soffre meno la mancanza del mare, ma subisce una serie incredibile di infortuni, tanto da mettere in discussione il prosieguo della carriera. In società parla di lui come di un ex, Trapattoni, quando emigra in Germania, è convinto che Gianluca sia un giocatore sul viale del tramonto. Lo stesso Vialli racconta la sua metamorfosi da bomber declinante in leader vincente: «Nei primi due anni di Juventus ero “Brancaleone alle crociate” e non capivo. Ma come? Investi miliardi e poi mi fai allenare su un campo di patate, con poca assistenza e mi lasci da solo a preoccuparmi di tutto. Io ho bisogno di un profeta: se penso troppo mi faccio male, sono ossessivo, troppo perfezionista. E mi disperdo, mi deprimo. Io ho bisogno di pensare a giocare e basta. Ora lo faccio, ho attorno uno staff competente che decide per me. Il mio profeta è la Juventus e Lippi è l’uomo chiave». Lippi e la cura Ventrone lo rimettono in perfetta linea con le esigenze di un calcio atletico e tecnico al tempo stesso. Vedendolo tirato a lucido nel ritiro di Villar Perosa, l’Avvocato Giovanni Agnelli, rivolto a Lippi disse: «Scusi, ma questo Vialli quando è arrivato alla Juventus era grasso come un tacchino, adesso è magro, bello, corre e segna. Cosa gli avete fatto?» Lippi conosce la cura adatta a guarire tutti i mali di Vialli. Il tecnico gli dichiara la propria stima e lo ripulisce da un aspetto fisico non certo consono a un grande campione come lui. Vialli ritrova lo scatto e quell’elasticità atletica che a Genova gli avevano permesso goal impossibili in acrobazia. A trentuno anni vola prima sullo scudetto e poi sulla tanto agognata Coppa dei Campioni. Gianni Agnelli ora è entusiasta e non esita a paragonarlo a Gigi Riva. Grande combattente e trascinatore, le tifoserie per le quali ha giocato hanno sempre riconosciuto in lui un esempio da additare agli altri e lo hanno perdonato nei periodi di cali di forma; uno degli ultimi modelli di bandiera di una squadra, di giocatore capace di trascinare undici giocatori con la stessa maglia alla ricerca di un unico obiettivo: la vittoria.

⚽ Alessandro Del Piero | Dario legge il pallone racconta di Stefano Bedeschi

Alessandro Del Piero Dario legge il pallone racconta di Stefano Bedeschi #DelPiero #megliodinienteradio #ilpalloneracconta È il 1993-94 ed a Torino sbarca un giovanotto di belle speranze, dalla chioma riccioluta e dal destro mirabile. Il ragazzo si è già messo in mostra nel Padova, nella Primavera ed anche in prima squadra, nonostante la giovane età. «Lo sport mi è sempre piaciuto, giocavo un po’ a basket, a tennis senza maestro, però lo sport era il calcio e basta. Una passione irrefrenabile. Ero a scuola e pensavo alla palla, mangiavo con la palla e poi via, fuori. I miei genitori sono stati fantastici perché non mi hanno mai forzato né gasato. È quello l’errore grande. Il comportamento dei genitori è decisivo, per i figli sportivi. Io avevo anche l’esempio di mio fratello Stefano, più grande: era alla Samp, nella Primavera, con Lippi. Lui l’ha visto prima di me. Nel mio cortile spesso giocavo da solo: serve tanta immaginazione. Ero un campione della Juve, passavo la palla a Cabrini, a Tardelli, a Scirea, duettavo con Platini. E la mia Juve del cortile era anche piena di stranieri: oggi Maradona, domani Van Basten, dopodomani Zico o Gullit; ed io facevo goal. Il primo torneo lo gioco con una vera divisa, gialla e blu: scuola Comunale di Saccon. Il gialloblu era anche il colore del Conegliano. Le magliette tutte identiche vogliono dire squadra. Quel torneo lo perdemmo in finale ai rigori, vabbeh, succede, non sarebbe neanche stata l’unica volta. Sono andato via di casa a tredici anni. Ero affascinato, stavo al Padova, era un’altra dimensione: necessaria, per provare a essere davvero un calciatore. Però il primo anno è stato difficile, io sono un ragazzo timido, ancora adesso lo sono. Si viveva in quattordici dentro una stanza, il pranzo arrivava scotto dalla mensa, al ritorno dalla scuola era immangiabile: però, così cresci. Ero il più piccolo, di età e di corporatura: poi, oddio, non sono diventato Shaquille O’Neal, però mi difendo. L’inizio, devo dire, fu un po’ traumatico. Mia mamma ricorda di quando andavo a prendere il treno e si raccomandava, “stai vicino alle altre persone, fai attenzione”. Dovevo cambiare a Mestre, aspettavo la coincidenza anche trenta, quaranta minuti. Poi, mamma e papà vennero a trovarmi a Padova, ed io: “Occhio al cambio di binario a Mestre”. Ecco, mia mamma dice che in quel momento capì che ero diventato grande. Succede quando sono i figli a preoccuparsi per i genitori, e non viceversa». I numeri ci sono e così il presidente Giampiero Boniperti e l’allenatore Giovanni Trapattoni, decidono che quell’Alessandro Del Piero merita di far parte della Juventus. A diciannove anni, la giusta collocazione è la Primavera e così Ale entra nella rosa di mister Cuccureddu, divenendone subito un leader. Quella è una squadra che regalerà alla massima serie giocatori di tutto rispetto come Cammarata, Manfredini, Squizzi e Binotto. Il talento purissimo di quel giovanotto veneto emerge con prepotenza e guida la Primavera a una doppietta irripetibile: Torneo di Viareggio e scudetto di categoria: «È stata una bella esperienza, indimenticabile. Era una squadra forte quella Juventus Primavera, che è riuscita a imporsi in due manifestazioni in cui la vittoria bianconera mancava da molti anni. Anche se per la prima squadra quello non fu un grande anno, ma una stagione di transizione, a livello giovanile ci siamo tolti una bella soddisfazione». Si allenava già con la prima squadra, però: «Diciamo che ero a metà, ma con la prima squadra mi allenavo regolarmente, andavo in ritiro e mister Trapattoni mi fece anche giocare. Alla fine ho totalizzato quattordici presenze e cinque goal. Che dire? Come primo anno alla Juventus è stato meraviglioso». Che il ragazzo avesse una marcia in più, del resto, si era già capito a inizio stagione: se con i pari età Del Piero sembra un extraterrestre, basta una settimana d’autunno per vedere come, con i grandi, si trovi già perfettamente a suo agio. Il 12 settembre del 1993 Ale fa il suo esordio in serie A, a Foggia: «Se devo essere sincero, più che il momento in cui sono entrato in campo, ricordo di più l’emozione della gara vissuta dalla panchina. Ero davvero assorto dalla partita. Eravamo in parità contro un Foggia, che allora era forte. Diciamo che ho emozioni e ricordi più forti della settimana successiva». Tre giorni dopo, in Coppa Uefa, contro il Lokomotiv Mosca, ecco il debutto in Europa. Il 19 settembre poi; al Delle Alpi, all’80° minuto di Juventus-Reggiana, Del Piero timbra il 4-0 di una partita già segnata. Sembra un goal poco importante, visto il punteggio. In realtà, a pensarci ora, è il primo capitolo di un libro che riscriverà la storia bianconera: «È stato un giorno davvero esaltante. Abbiamo vinto, ho segnato la mia prima rete ed era anche l’anniversario di matrimonio dei miei genitori. È stato un giorno speciale in tutti i sensi». continua…

⚽ Michael Platini | da il pallone racconta di Stefano Bedeschi

⚽ Giampiero Boniperti | da il pallone racconta di Stefano Bedeschi

⚽ Gaetano Scirea | Il pallone racconta di Stefano Bedeschi

 

Intervista a Stefano Bedeschi

Ciao Stefano benvenuto nel nostro Blog.
Stefano Bedeschi scrittore, profondo conoscitore del mondo della Juventus e del Pallone in generale, presente con molti suoi articoli nei più svariati blog e siti Juventini, soprattutto titolare del bellissimo sito il pallone racconta http://ilpalloneracconta.blogspot.it/.


1 – Vuoi aggiungere qualcosa alla presentazione che merita di esser ricordato?

Direi di no, mi sembra molto completa la tua presentazione. Grazie.

2 – Prima cosa , come e perché si diventa Juventini a Reggio Emilia?

A Reggio e nell’Emilia-Romagna in generale ci sono tantissimi juventini e, quindi, sono in buonissima compagnia. Ed io lo sono diventato grazie a mio papà, che è ancora più tifoso di me! Mi ha trasmesso lui l’amore e la passione per la Juve. Crescendo, la mia juventinità è cresciuta in maniera esponenziale. Senza dimenticare, però, la squadra della mia città di cui resto sempre un grande tifoso.

3 – Sei stato a Torino o da qualche altra parte a vedere la Juve in passato? Che ricordi hai?

Sono stato parecchie volte a Torino a vedere la partita. Quella che ricordo con più emozione è sicuramente Juve-Real Madrid, quella del goal di Zalayeta nei supplementari. Ricordo che lo stadio è esploso di felicità, una gioia incontenibile. La rammento bene anche perché sono tornato a casa alle quattro di mattina!
Ho anche seguito la squadra in trasferta. Quest’anno, tanto per fare un esempio, sono stato sia a Verona che a Bologna.

4 – Ho visto che hai prodotto molti libri. Su Cruijff, su Scirea, sul Real Madrid. Ti piace scrivere di calcio, come hai scelto i vari soggetti?

Non ho particolari criteri nel scegliere gli argomenti dei miei libri. Spesso e volentieri sono scelte casuali, magari dettate da qualcosa che ho visto in TV oppure da qualcosa che ho letto su qualche libro.
Comunque, ci tenevo molto a scrivere qualcosa su Johann Cruijff, perché è stato il mio idolo da bambino (non juventino, si intende). Tanto è vero che, nella mia pessima carriera calcistica, ho sempre indossato la maglia nr.14.

5 – Mi incuriosisce un titolo: ‘‘La guerra della pipì’’. Posso immaginare si parli di doping?

Certo. Parla dello scudetto del Bologna del 1963/64, quello appunto del presunto doping dei giocatori felsinei. È un libro che descrive questa misteriosa vicenda e di come la città bolognese ha vissuto quello scudetto, passando dalla disperazione alla gioia in pochi mesi. Modestia a parte, penso che sia un libro molto interessante.

6 – Prossimo libro?

La storia di Cesto Vycpalek. Ho già il titolo: “Da Dachau al tricolore”.

7 – Veniamo ai giorni nostri so che sei stato fra i fondatori di J1897.com che ora si chiama tifosi bianconeri e anche Vecchiasignora.com , è vero innanzitutto questo, e poi; cosa ti ha spinto a creare ben due forum che sono poi diventati i più grandi del web e perché a un certo punto hai deciso di lasciare queste esperienze?

Nel forum “J1897” sono entrato nel 2004, quando era già esistente anche se non ai livelli attuali e con un altro amministratore. Diciamo che sono entrato per gioco e per curiosità, diventando moderatore dopo poco tempo. Poi, dopo un paio di anni, con amici abbiamo deciso di lasciare “J1897” ed abbiamo creato “Vecchiasignora”.
Ho deciso di lasciare, perché non avevo più tempo da dedicare al forum. Essere un moderatore vuol dire essere praticamente sempre presente ed io ero più in grado di farlo.

8 – Come nasce il tuo ultimo sito ‘‘il pallone racconta’’, che fra l’altro come sai è per me un punto di riferimento e una fonte di notizie inestimabile?

Grazie dei complimenti! Il mio blog è nato poco dopo la mia entrata nel forum. Infatti, ho cominciato a pubblicare lì le mie schede e qualche amico mi ha suggerito l’idea di aprire un blog per contenerle tutte. Certo, non avrei mai immaginato di riscuotere un successo così grande ed immediato!
Dal blog è nata anche l’idea di scrivere il mio primo libro, che si chiama appunto “Il pallone racconta”.

9 – Visto che hai dedicato un libro a Scirea ti chiedo se è stato lui il tuo Campione preferito del passato o quale altro e perché, e qual’é il giocatore preferito di oggi?

Il mio idolo da bambino era Anastasi ed è facile capire il perché. Era il bomber di quella Juve ed ogni bimbo sogna di essere un grande cannoniere. Tanto è vero che ho pianto quando è passato all’Inter.
Scirea è stato un grandissimo personaggio che ha incarnato in pieno lo stile/spirito Juventus. Come Ale Del Piero che, non a caso, è il giocatore attuale che amo di più.

10 – Sei un 1962 quindi penso che una delle tue prime Juventus sia stata quella mitica tutta italiana che vinse Campionato e coppa Uefa. In quanto è simile a quella questa di Conte e in cosa si differenzia? Fra l’altro non ti pare curioso che questa Juventus possa vincere un Campionato e una Coppa al primo anno come quella?

La mia prima Juventus è stata quella dello scudetto 1971/72, sulla quale ho scritto anche il mio ultimo libro. Era una Juve fantastica, creata quasi dal nulla e piena zeppa di giovani che avrebbero formato l’ossatura della grande Juve degli anni Settanta. Una Juve che giocava a mille all’ora ed attuava già il pressing, cosa che non faceva nessuno in Italia.
Non vedo tante affinità con la Juve del 1976/77. Aveva un gioco e giocatori completamente diversi da quelli attuali. Era molto muscolare e giocava senza un vero e proprio regista. Undici giocatori, undici leader. Un evento quasi raro. Cinquantuno punti su sessanta, una Coppa Uefa vinta contro grandi squadre, non ultime i due Manchester.
Invece, questa Juve la posso paragonare alla prima di Lippi. Anche allora venivamo da tantissimi anni senza successi (ben nove). Anche allora avevamo una dirigenza nuova (la “triade”) ed un allenatore quasi esordiente. Anche allora abbiamo vinto lo scudetto al primo colpo.

11 – Sai che ho rimandato questa intervista per scaramanzia, nella speranza potessimo farla a campionato vinto. Quindi è andata bene. Credo che sia scontato come tutti noi, che tu non ti aspettassi una Juventus così forte. Allora ti chiedo quando hai capito che la Juve faceva sul serio e poteva farcela?

Non mi aspettavo assolutamente che questa Juve potesse vincere il campionato. Credevo che già arrivare nelle prime tre fosse un traguardo difficile da raggiungere. Diciamo che ho cominciato a crederci dopo la vittoria sul Milan in campionato, anche se avevo perso un pochino le speranze quando siamo andati a -4 dai rossoneri.

12 – Come l’hai vissuta la penultima giornata di campionato, quella che ci ha dato lo scudetto, quella di Cagliari-Juventus e Inter-Milan?

Con molta preoccupazione. La partita con il Lecce mi aveva molto amareggiato ed avevo paura che non ce la potessimo fare. Meno male, invece, che è andato tutto bene! Al fischio finale sono rimasto in silenzio, ma con una gioia interiore indescrivibile!

13 – Di chi è il maggiore merito di quest’annata bianconera?

Io credo che il merito sia di tutti. Non si passa da due settimi posti al tricolore senza unire le forze. Certo, Conte ha tantissimi meriti per aver saputo motivare a mille la squadra. Pirlo e Vidal hanno fatto la differenza. Ma tutti hanno dato il 150%, anche noi tifosi!

14 – Cos’ha Conte in più degli altri allenatori e a maggior ragione di quelli che hanno allenato la Juve dopo il 2006?

Conte ha le caratteristiche che aveva da giocatore: una fame tremenda e gli occhi di tigre. Oltre ad una grande preparazione che, però, avevano anche gli allenatori precedenti. Ma è stata la sua determinazione e la sua voglia di vincere a portare la Juve al trionfo. E poi, Conte è juventino fino al midollo e questo fa sicuramente la differenza!

15 – Quali e quanti giocatori dovrebbe prendere la Juventus per fare un ulteriore salto di qualità?

Direi quattro: Higuain, Giovinco, Nainggolan ed Ivanovic. Oltre a dare più spazio a Marrone (il nostro vice Pirlo) ed a Giaccherini.

16 – Si parla tanto di terza stella ma io penso in questo momento più a farsopoli, come finirà? Qualcuno inizia a dimenticare?

Si dovrebbe consultare la sfera di cristallo per sapere come andrà a finire. Sicuramente la società non cederà di un millimetro e questa è la cosa più importante. Ma, sinceramente, ho pochissime speranze nella restituzione degli scudetti. Abbiamo una federazione inetta ed incompetente per aver il coraggio di ribaltare le sentenze del 2006.
Dimenticare? Non credo che nessun tifoso juventino vero dimenticherà mai quell’estate del 2006!

17 – Nessuno ha ricordato Moggi in questo scudett
o?

Moggi continua ad essere un personaggio molto controverso. Chi è “moggiano” pensa che questo scudetto sia anche merito suo, gli altri l’hanno rimosso dalla storia juventina. Io penso che questa Juve c’entri poco e niente con quella della “triade”, abbiamo proprio voltato pagina.

18 – E la stella?

La terza stella è assolutamente da mettere sulle maglie ed anche in bella evidenza. Gli scudetti sono trenta, anzi dovrebbero essere trentadue considerato quelli che non ci hanno assegnato all’inizio del secolo scorso.

19 – Il sorteggio delle Champions ci vede in terza fascia con un probabilissimo girone di ferro?

Vero, ma le possibilità di superare il turno ci saranno sicuramente, Napoli docet. Anche se, sinceramente, non credo che siamo ancora attrezzati per vincere la Champions. Le spagnole, le inglesi ed il Bayern sono ancora troppo superiori.

20 – Pensi questa Juve sia abbastanza attrezzata per poter aprire un ciclo?

Credo di sì, anche se ripetersi nel campionato italiano è molto difficile. Le nostre avversarie prenderanno le contromisure al gioco della Juve e si attrezzeranno per batterci. Dovremo essere bravi ad inventarci sempre qualcosa di nuovo e, soprattutto, ad avere nuovi stimoli.

21 – Ti piace Andrea Agnelli?

Abbastanza. È uno juventino vero, anche se questo è anche il suo peggior difetto. A volte si lascia trascinare dalla sua passione e rilascia dichiarazioni da vero tifoso. Cosa che un presidente non dovrebbe mai fare.

22 – Ti convince l’organigramma societario in tutte le sue parti: Nedved, Marotta, Paratici….ecc..ecc..?

Mi convince molto, perché sono persone molto in gamba e molto competenti. Hanno solamente bisogno di fare più esperienza.

23 – Trovi giusto che la carriera di Del Piero alla Juve termini qui e in questa maniera? Non c’era proprio margine per una deroga? Nemmeno per Del Piero?

Io credo che Ale avrebbe potuto giocare un altro anno nella Juve. Soprattutto, pensando a quanto ci possa essere utile in Champions, dove giocatori come lui fanno sempre la differenza. Ma credo anche che lui voglia giocare e nella Juve non poteva più farlo con una certa continuità.

24 – Dove giocherà l’anno prossimo Alex?

Credo negli States.

25 – Sei già stato allo Juventus Stadium? Se si com’è altrimenti perché non ci sei ancora stato? ah ah.

Certo che ci sono stato! Contro la Lazio e contro il Lecce. E conto anche di tornarci il prossimo anno, perché l’atmosfera che si respira nel nostro stadio è meravigliosa. Niente a che vedere con l’Olimpico o con il Delle Alpi.

26 – C’è qualcosa che non ti ho chiesto di cui avresti avuto il piacere parlare?

Direi che va bene così, altrimenti rischio di diventare noioso!

Grazie Stefano e sempre forza Juve.

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