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ricchiuti132 Speciale Ciclismo.

Di Enzo Ricchiuti

So che sei un appassionato di ciclismo quindi dato che parlare di amichevoli estive non mi entusiasma e che si è appena concluso il Tour de France facciamo un ricchiuti SPECIALE CICLISMO.

Negli ultimi anni credo si siano distinti particolarmente 4 corridori (correggimi se mi sbaglio), i primi due sono Wiggins e Froome. Parlami di questi due pregi e difetti.

Wiggins è perfetto. Stile, postura, pedalata: non si potrebbe desiderare di meglio. In più ha anche gran capacità di leadership. Ci sono capitani che riescono a non farsi tradire mai, neanche nei casi estremi: alla Vuelta del 2011, Froome avrebbe potuto mollarlo e vincere e invece no. Il difetto di Wiggins ? Come tutte le regine ha bisogno di una corte intera. Comunque è fuori dai giochi, non sciupasse il vestitino. Froome era chiaramente un fenomeno da gregario e s’è confermato tale da protagonista. Ha il mulinello, cioè quella pedalata un po’ da cartone animato che somiglia al lavoro dei mulini. Quando l’aziona è finita per chiunque. Pure perché lo usa quando fisiologicamente subentra la stanchezza, al termine di salite lunghe, col sole a picco e la gente che ti alita in faccia. Per chi come me lo ha scoperto prima della massa non ha solo quello, anzi prima non lo usava. Ha un gran fisico sgraziato e una generosità non di quelle patetiche da “passami la borraccia”. Di quelle non disgiunte alla forza vera. Difetti, se qualcuno lo affrontasse con la tattica forse lo batterebbe. Ci sono solo due che possono: uno è radiato, Armstrong, l’altro è vecchio, Contador.

Gli altri due sono a mio parere Contador e Nibali li ho messi divisi perchè so che del primo sei tifosissimo mentre il secondo non lo apprezzi particolarmente eppure ha vinto una vuelta un Tour e un Giro d’Italia insomma roba che è riuscita a pochi ed ha collezzionato moltissimi piazzamenti e vittorie di tappe. Mi parli di entrambi del tuo tifare per Contador e del tuo poco apprezzamento per Nibali?

Contador resterà per sempre nella memoria storica del ciclismo perché ha talento, unicità e una gran testa. Chiunque vorrebbe rivederlo su Youtube mentre danza. La sua bellezza è diversa dalla perfezione formale di Wiggins. Contador non è il ciclista perfetto, è arte pura. Si potrebbe citare per lui Melanie Griffith di “Una donna in carriera”: un corpo per il peccato. Ed ha una mente per gli affari su due ruote. Trovatemi un altro che sia così razionale e al contempo coraggioso. Prendete Fuente De, Vuelta 2012. Contador al rientro dopo la squalifica ormai ha perso il Giro. Sta vincendo il suo connazionale Rodriguez, altro cocchetto di mamma come Nibali, una specie di tengo famiglias bravo a scalare i murini come le formiche. Non c’è più molto da fare. Accendo la tv, stiamo dormendo tutti. Ci fosse Nibali si piangerebbe al destino infame tra squilli di tromba, frittate di maccheroni e giustificazioni. Ma c’è Contador, non l’uomo qualunque. Scatta a km e km di distanza. All’improvviso. Sembra una follia. Invece vince tutto. I cronisti a fare ooh. Trovatemi un altro che a 33 anni decide di voler provare a fare doppietta Giro d’Italia-Tour de France. Vince il primo, praticamente senza squadra e in una occasione andando a riprendere da solo l’Astana che ha ben due leader. Per Nibali avrebbero portato in processione Santa Rosalia e messo su i dischi di Villa, Claudio e Pancho. Invece per Contador niente, è tutto normale. Ed è giusto così. Perché Contador è un campione. Nibali, no. Hanno provato a stroncargli vita e carriera ad Alberto Contador. Gli han tolto a tavolino un Giro d’Italia 2011 che l’Etna lo saluta ancora, Alberto. Eppure non ce l’hanno fatta. Contador che oramai è vecchio invecchia vincendo insieme a noi. Nibali è un mediomen senza grandezze. Per anni s’è piazzato solo, poi ha vinto qualcosa ma non lascerà tracce se non una rassegna stampa cospicua e le lacrime degli italiani all’estero. Ho visto di meglio, c’è stato di meglio ma c’è molta gente che non vuole aspettare e grida al campione per la qualunque. Ha preparato benché sia più giovane di Contador solo una corsa, il Tour. Ed ha fallito. E’ arrivato quarto recuperando l’ultima settimana quando distaccato quasi a doppia cifra in parte non se lo cagava più nessuno. Ma a leggere i giornali pare abbia vinto lui. Perciò non cresce, come tutti i cocchi belli. Ora ha l’occasione di riscattarsi al Giro di Spagna: lì avrà la concorrenza interna di un altro italiano, Aru. Nibali è il favorito, è più esperto, l’ha vinta già la Vuelta: ha tutto da perdere e questo non essendo lui un gran tattico potrebbe costargli la solita umiliazione del “vincitore morale”.

I tre ciclisti migliori di tutti i tempi e perchè.

Dovessi fare la classifica in assoluto, Coppi, Merckx, probabilmente Anquetil. Gente completa, in grado di fare tutto e farlo bene. O almeno di farlo tutto suo. Meglio la classifica sulla scorta di quelli che ho visto io: Armstrong, Pantani, Contador. Armstrong è tuttora imbattibile, non era un ciclista, era il padrone della corsa. Pantani, inutile commentare. Contador è stato l’unico a mettere in difficoltà Armstrong. Del doping si occupano film, libri e giudici istruttori. Sul doping la penso come Michele Ferrari, il medico di Moser e Armstrong: è solo una convenzione. Il corpo umano è più complicato di così.

I tre ciclisti Italiani migliori di tutti i tempi e perchè.

Di tutti i tempi, Coppi e Bartali e i soliti nomi. Dei miei, quelli dalla metà dei ’70, Moser. Veloce, cattivo. La crono di Verona dell’84 è uno dei momenti più alti del ciclismo ai limiti che piace a me. Savoldelli, oggi lo ricordano pochi ma discese così ai limiti del codice penale se ne vedono raramente. Nibali che in discesa è bravo per farne una alla Savoldelli, senza frenare e basandosi solo sulla capacità di tagliare al punto giusto, stava deragliando ultimamente portandosi dietro pure quello che lo seguiva. Pantani, chiaramente. Altri, di ciclisti italiani me ne sono piaciuti tanti.

Pantani dove si colloca.

Dicevano dei Rolling Stones, non è un gruppo, è un modo di vivere. Penso che di Pantani si possa dire altrettanto. Un modo strano di soffrire, la sofferenza non come limite ma come turbo, la capacità di essere talento purissimo e al contempo amatissimo e tutto questo talento e amore vissuto non come fine ma come contorno. Come insalata ininfluente al ristorante dove si sedevano lui, la montagna, la gara. Pantani entrava nel cuore, era lui a trainare noi stampa compresa e avendo dimestichezza col cuore ha smesso di voler bene. Ha smesso, basta. Non c’è consolazione nell’arrivare secondi, non c’è fanfara che compensi non aver vinto, non c’è spazio per le coccole e i pat pat perché non si corre per essere apprezzati comunque: questa la grande lezione di Marco Pantani. Dopo il Tour del 2000 con un paio di mezze imprese, un altro si sarebbe ricaricato, ci avrebbe campato alla grande. Lui no, pensava solo a quello che non aveva avuto. Non aveva il cinismo di ripartire e adeguarsi, lui voleva le sue corse indietro e gli avanzi no. Voleva quando cercò in quel 2000 francese di far saltare tutto, “e invece sono saltato io”, terremotare il sistema. King Kong che si prende la fanciulla corsa e se la porta. Non ci riuscì, la dissenteria lo fermò. Dissero che era merda, invece gli si era sciolto il cuore. Cagò la sua vita e quel che ne era rimasto, Marco Pantani Tour del 2000. Pronunciò il suo guai ai vinti, se lo pronunciò addosso. Io ero in vacanza, guardavo tutto da una di quelle tv da campeggio, piccole. Troppo piccola per un dramma così grande. Oggi coi quarti posti tagliano nastri, rimorchiano briciole, prenotano fuffe. Pantani non è una bella storia, è una vita fallita in diretta. Non faremo più i guardoni tanto facilmente, oggi sono solo impiegati del catasto.

Tre nomi di ciclisti di cui sentiremo sicuramente parlare e di cui almeno uno diverrà un grandissimo.

Anni fa dissi Sagan e Froome. Ci ho preso. Oggi dico Bardet. E Aru. Mi piacciono entrambi. Non credo siano completi come Contador, non sembrano dei geni. Almeno andassero a schiantarsi anziché spegnersi tra facce e medaglie di bronzo.

 

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