“L’anno prossimo ripartiremo pensando a questa stagione, che sarà assolutamente da non ripetere. Gli errori commessi ci torneranno utili. Dovremo metterci più entusiasmo, più cattiveria e più cuore”. Queste parole le ha pronunciate Alessandro Del Piero al termine di Juve-Napoli dello scorso anno, presentandosi ai microfoni nel post partita al posto del mister Delneri, licenziato durante la settimana che avrebbe portato all’ultimo ed insignificante match di campionato proprio contro il Napoli. Ma in quella intervista a colpire furono, più che le parole di circostanza e assolutamente inopportune seppur rituali, lo sguardo afflitto ma consapevole. Consapevole di aver appena concluso un’altra stagione storicamente disastrosa.
Alla fine di quel campionato, erano più fatti gli juventini che la Juve. Quest’ultima, era da rifondare da zero ancora una volta. Gli juventini, invece, si stavano riformando mentalmente (e ciò, non mi scorderò mai di dirlo, anche grazie alla lotta sul web di Calciopoli) e temprando nello spirito. Ma il dubbio che ci si poneva rimase e continuerà a rimanere: bisogna rifare, dopo il 2006, prima la Juve o gli juventini?
E rifondazione, comunque, è stata, in fin dei conti, perché Conte ha preteso, come i suoi predecessori, tanti acquisti, mirati, ma questa volta mirati in maniera diversa, in un altro senso. Ha fatto storie per avere gli esterni che più gli garbassero e non esterni nel solo senso tecnico della parola. I ‘suoi’ esterni avrebbero dovuto avere qualcosa in più degli altri. Compagni di squadra ed esterni altrui.
Vincere subito o costruire una squadra vincente nel futuro? Comprare giovani promesse ora facendone un giusto mix con un piccolo gruppo di senatori oppure acquistare giocatori già affermati ed abituati a vincere? È questo il dilemma che affligge ormai da anni tutto l’ambiente juventino e che lo perseguita come una maledizione, a partire dai tifosi, a finire con gli stessi dirigenti. In questi anni di tentativi se ne sono fatti tanti: Ranieri, Ferrara, Zaccheroni, Delneri sono stati buoni allenatori ma non di altissimo livello, responsabili di squadre costruite con l’intento di vincere (o per lo meno di seguire un progetto vincente) per rivelarsi poi compagini deboli mentalmente, deleterie tecnicamente o inadeguate tatticamente. Basti pensare alla Juve brasiliana che si voleva costuire con Ferrara (disorganizzata e presuntuosa) oppure alla Juve ‘operaia’ che si è voluta affidare a Delneri (troppo al di sotto delle aspettative che ruotano intorno alla Juve). Le colpe vanno spartite come ovvio ma bisogna fare una netta distinzione tra un progetto a breve termine ed uno a medio-lungo termine: in questi anni si è avuta la sensazione che si volesse costruire una squadra per il futuro (dando uno sguardo al bilancio e al fair-play finanziario) ma, con essa, annessi gli stessi obiettivi di tentar di vincere. Subito. Non si è voluto tener conto delle reali potenzialità delle Juve che hanno dovuto sopportare un fardello più grosso di loro. Si è chiesto a giocatori mediocri di vincere con la sola scusa che in squadra ci fossero ancora giocatori abituati a farlo (per poi cedere anche buona parte di loro nella scorsa finestra estiva).
È stato ingaggiato Conte, un allenatore al pari dei suoi predecessori, forse con un pizzico in più di carisma; quel carisma al quale tutti noi ci appelliamo e nel quale riponiamo, oramai, tutte le nostre speranze. Ma bastera? Conte è l’allenatore giusto che porta alla vittoria con il suo carisma giocatori affermati oppure è un allenatore che fa del carisma la sua arma migliore perché i veri allenatori sono quelli tatticamente intelligenti e ‘cattivi’?
Di esempi ne vorrei citare due: Capello ai tempi della Juve e il trio Schuster – Juande Ramos – Pellegrini ai tempi del Real. Il primo era un allenatore affermato con giocatori affermati, acquistati per vincere immediatamente: Vieira, Ibra, Emerson. I tre erano allenatori bravi ma non ancora affermati ad alti livelli che hanno allenato giocatori come Raul, Casillas, C. Ronaldo.
Un altro esempio è quello di Lippi, allenatore che all’epoca della sua Juve non era ancora affermato proprio come la squadra che allenava ma che riuscì a creare un giusto mix.
Serve una bella dose di autostima a questa squadra purchè non diventi arroganza. Non possiamo permettercela in questo momento. Soprattutto, non bisogna fare errori tattici ma avere idee chiare. Delneri ha perso per questo, non proprio per altro. Lo spogliatoio era dalla sua ma ha avuto paura di utilizzare i propri uomini nei momenti decisivi. Si è dimostrato troppo integralista pur tentando di smuovere il suo 4-4-2 nelle ultime uscite. Troppo tardi.
Sempre nelle ultime interviste concesse, ricorderete che qualche sassolino il tecnico di Aquileia ha tentato di toglierselo: “Rifarei tutto, non ho colpe…Nessuno può insegnarmi calcio…l’organico era quello che era” oppure “Brutta annata? Forse si pretendeva troppo”. “Vado all’Atalanta? No, alle Maldive. È difficile vincere subito e cambiare molto, le due cose non sono abbinabili almeno qui alla Juve» Lo stesso Chiellini ha ammesso che “non siamo mai stati una squadra” nonostante lo spogliatoio fosse sempre stato unito a favore del tecnico. Evidentemente, il gruppo era unito e si piaceva caratterialmente ma, in campo, i valori non erano gli stessi. Troppo al di sotto della media per incollare pezzi di squadra troppo diversi tra loro.
Non so più come giudicare le conferenze dei neo allenatori della Juve perchè sino ad oggi hanno fallito tutti
pur facendo conferenze decenti. A parte Ranieri. Conte è sembrato visibilmente emozionato nella conferenza di presentazione, è stato pacato e ha giusto “intrattenuto” i giornalisti prendendoli in giro come ormai si usa fare davanti ai microfoni. Dalle sue parole non è trapelato quasi nulla.
Bando alle ciance è inutile chiedere di stare zitti e lavorare, piuttosto chiediamo solo di portarci ad una compattezza di gruppo che il resto poi viene da sè! Che sia subito pronto per vincere o che non lo sia questo non importa, se c’è compattezza, la vittoria arriva sicura sia per il gruppo esperto, sia per quello meno esperto, inaspettatamente invece che abitualmente, ma arriva anche per loro.
Chissà cosa starà pensando Conte in questo momento: hanno chiamato ad allenare me perché ho vinto tutto con questa maglia e devo abituare questi giocatori a farlo oppure, pure io come loro, sono una scommessa come allenatore e insieme a questi giocatori dobbiamo insorgere dall’anonimato?
Di certo Conte non ha atteso per chiarire la situazione, lo ha fatto coi fatti: l’attuale primato in classifica, il gioco attraverso il quale siamo arrivati ai primi ottimi risultati ed il potenziale ancora inespresso di alcuni giocatori che potrebbero tornare utili nel corso della stagione o nei momenti di difficoltà attesta che la squadra è stata costruita ancora una volta in prospettiva futura, ma con una mentalità differente. Più qualità che quantità.
17 tiri a due. Questo il resoconto di Juve-Milan ma la grande squadra non fa tutti quei tiri per segnare. Non voglio guastare la festa ma non siamo ancora belli e cresciuti. Il gol doveva arrivare nel primo tempo a tutti i costi e non è arrivato. Giaccherini che crea, così come Pepe, Vucinic, Pirlo, Vidal, Marchisio… ad un tratto si piacevano contro il Milan, si sentivano belli e hanno preferito non segnare nel primo tempo. Sbagliatissimo. È l’unica critica da fare a questa squadra, per ora.
Marchisio che se la rideva, dopo il secondo gol, sapeva di beffa. Veramente. Ed ha fatto bene a prenderla a ridere, significa che era consapevole di averla fatta grossa. Quando scalfisci per 80 minuti una squadra e segni al 92esimo la definitiva resa, la risata è l’esultanza migliore. È liberatoria, più di quella con rabbia e soddisfazione. Fa bene ridere.
Un altro, invece, ha pianto. Con Ibra, l’ultimo in ordine di tempo ad aver ammesso la nostra superiorità, il quadro è completo. Questa partita ha fatto fare persino una riflessione un po’ malinconica, a Ibra, sul suo futuro. Top. Se la Juve fa questo effetto ora che non è tornata ancora la Juve, chissà in futuro che potere torneremo ad avere. Oltre che sul campo, nella testa dei calciatori avversari.
E ora il Chievo, nella città del pandoro e della squadra simpatica del campionato per i molti anni di militanza ma sempre insidiosa e rognosa d’affrontare nel “campo di patate” del Bentegodi. Lì ci abbiamo lasciato spesso la pelle o qualche punto in classifica pesante come un macigno. Torna Del Piero, sperando che segni ancora di punizione. Come tre anni fa. All’epoca noi eravamo come il campo ma c’era Del Piero che rendeva tutto più bello.
eldavidinho94
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