LA GERMANIA TRA CALCIO E POLITICA.

bayern borussia

articolo a firma di eldavidinho

Qual è la squadra migliore? Soprattutto, ha vinto la squadra migliore? Ha vinto quella che ha meritato di più? Cominciamo col dire che questo Bayern che pone fine, almeno per ora, all’epoca del Barcellona, ricorda non troppo lontanamente la Juve di Lippi che chiudeva il ciclo Ajax anni ’90. Una squadra fortissima, per carità, ma che nessuno pensava fosse così fenomenale. Forse un po‘ sottovalutata da tutti all‘inizio di questa Champions, anche da noi. Un dominio che sancisce probabilmente la fine del ciclo catalano(anche se non è detto che finisca proprio nell’anno in cui hanno vinto la Liga dominandola con estrema facilità) ma che non apre ancora quello dei nuovi marziani del Bayern, seppur si tratti dell‘ evoluzione naturale e moderna del Barcellona, una macchina perfetta che pare essersi inceppata. Spaesato e surclassato nel doppio confronto, il Bayern ha gestito i ritmi, alternato momenti di possesso ad altri di copertura, controllo ed organizzazione. Ha messo a nudo i difetti di una squadra che, per anni, non ha mai trovato una valida alternativa di gioco al tiki taka, risultando impreparata al cospetto di un Bayern che ha costretto sulla difensiva una squadra che, in passato, non si è mai difesa, ha sempre attaccato. I difensori, infatti, hanno mostrato grandi carenze in marcatura, abituati solo ad impostare, e tutta la squadra ha sofferto il non-atteggiamento-passivo del Bayern, martellante, pressante, asfissiante, aggressivo, propositivo. Quantità e qualità. Consapevolezza dei propri mezzi, atteggiamento giusto nell’essere una squadra. Espressione del nuovo calcio a 360°. Così il Bayern ha sconfitto un Barcellona che, insomma, dopo aver dominato in lungo e in largo, è in fase declinante; il suo gioco da brillante sta diventando monotono e sempre più basato sulla presenza di Messi. L’ascesa del Bayern sta assumendo i “contorni darwiniani dell’evoluzione”. La differenza la farà la continuità negli anni, quella continuità che un Barca comunque grande ha avuto e dato sino ad ieri. Un marchio di fabbrica momentaneamente superato da quello bavarese che deve riuscire a riconfermarsi per essere etichettato come il vero nuovo modo di giocare a calcio. è indubbio che la squadra di Heynckes abbia preso come modello il gioco blaugrana e lo ha fatto proprio con adattamenti precisi, con la grande progettualità della società in sede di mercato, di merchandising e di marketing. Già, perché il segreto sta proprio nelle solide basi finanziarie, per il Bayern così come per il Borussia. Due squadre che hanno anche nel settore giovanile e nello scouting un altro dei loro segreti. Con 368 milioni di € nel 2012, il Bayern è la quarta squadra al mondo per ricavi, con un incremento rispetto all’anno prima di circa 40 milioni. I bavaresi sono una vera e propria macchina da soldi: 85 milioni arrivano dal solo botteghino, sempre sold out anche grazie al congelamento dei prezzi rispetto alla precedente stagione, mentre ben 202 milioni arrivano dalle sole attività commerciali. Nessun club al mondo è mai riuscito a raggiungere un simile bottino, esclusi biglietti e diritti TV. Una potenza finanziaria sproporzionata anche per un campionato fiorente come la Bundesliga, se è vero che il Borussia Dortmund, 11^ al mondo per ricavi, ha raccolto nel 2012 un fatturato di 189 milioni, in crescita del 40% rispetto all’anno precedente, e un utile netto di 34 milioni. Al momento, il club è al nono posto nella classifica dei fatturati. Barcellona e Real Madrid, quindi, hanno perso contro, al confronto, poveretti, nella semifinale di Champions, perché se, come già detto, il Bayern è il quarto club calcistico al mondo per ricavi, il secondo (a quota 483) è proprio il Barcellona. Mentre il primo, cioé il Real con 512, è stato superato da un Borussia Dortmund che nella classifica dei soldi è dietro al Milan (256), poco dietro alla Juventus (195), ma davanti a Inter (185), Napoli (148) e Roma (115). In altre parole, i fatturati non fanno vincere, quelli “degli altri”, poi, non devono neanche essere una scusa in caso non si vinca, ma non devono neanche essere presi sottogamba, perché ti permettono di spendere. E di vincere se spendi bene.
Un fatturato che è, però, quasi la metà di quello del Bayern, quello del Borussia. E stiamo parlando della seconda squadra più ricca di Germania. Capace comunque, grazie al ritorno in Champions League, di aumentare i suoi ricavi quasi del 50% in un anno e di gettare completamente alle spalle il fallimento tecnico di 7 anni fa. Un meraviglioso miracolo imprenditoriale e di competenza calcistica, perché il passivo ammontava a 140 milioni, situazione che li costrinse ad accettare un prestito dai nemici del Bayern per pagare gli stipendi e infine vendere anche lo stadio. Stava annegando, il Borussia, perché i suoi dirigenti avevano esagerato con le spese dopo i fasti degli anni Novanta, quando nel 1997 era arrivata la vittoria in Champions (in finale ai danni della Juventus). Poi, nel 2006, tutto riparte: un prestito provvidenziale della Morgan Stanley consente al club di sopravvivere, e ripartire. Da quel momento si sceglie l’unica strada percorribile, cioè quella che dovrebbero seguire tutti: si lavora sui giovani, mentre sul mercato si cercano talenti a basso costo ma di sicuro avvenire, impresa per la quale bisogna essere attrezzati di competenza e professionalità. Dopo due stagioni difficilissime tra il 2007 e il 2008, in cui il BVB rischia la retrocessione, la risalita inizia con l’ingaggio di Jurgen Klopp come allenatore, il 1° luglio 2008. Il giovane tecnico, che all’epoca ha 41 anni, comincia a plasmare la squadra lavorando sui ragazzi, ricreando il senso di appartenenza che era stato uno dei segreti del Borussia anni Novanta, imponendo un gioco tecnico e velocissimo, spettacolare. il club torna a vincere la Bundesliga due volte, nel 2011 e nel 2012, con una squadra forte e giovanissima, perché l’età media è di appena 24 anni. Capiamo bene, dunque, di che calibro siano i giocatori di Borussia e Bayern, da dove arrivino e con quali modalità siano giunti in queste due squadre. Il Borussia ha trovato nello scouting con acquisti low cost, nelle operazioni condotte con fiuto e lungimiranza e nella coltivazione maniacale del bel gioco e del tasso tecnico dei propri giovani la formula magica per esplodere, arrivando quarto nel girone di Champions dello scorso anno con la stessa squadra di quest’anno. Perchè i progetti vincenti si costruiscono col tempo e con la pazienza. Quando invece hai a disposizione entrate pressoché doppie, come succede al Bayern, il gioco cambia: il club bavarese ogni anno ha un obiettivo chiaro, il miglior giocatore della Bundesliga nel ruolo, da ingaggiare senza badare a spese. Spendendo bene dunque si vince. Non spendendo e basta. Questo ti permette, ogni anno, di migliorare il fatturato attraverso i risultati sportivi, di acquistare giocatori forti con maggiori probabilità ma di permetterti anche un margine di sbaglio, errore, sul mercato, più ampio. Perché i flop li fanno tutti. Può capitare. Ma la bravura sta nel farli influire il meno possibile nei risultati sportivi. Il modello tedesco, insomma, non esiste, se non nelle linee guida di buona organizzazione e buona gestione che caratterizzano quel paese in ogni suo aspetto. Intelligenza, fiuto, lungimiranza, lavoro, programmazione, competenza. Questa è la Germania di oggi, questa è la Bundesliga. Un movimento calcistico che ha fatto passi da gigante, recentemente, nella gestione delle proprie risorse. Due squadre così diverse e due modelli così opposti, per certi versi, eppure molto simili nel gioco che esprimono con equilibrio e movimento. Con qualità, forza, corsa, fantasia, tecnica, determinazione, organizzazione di gioco, collettivo. Il calcio tedesco è l‘evoluzione di quello spagnolo. Il Bayern mette i soldi, ma è in attivo. Il Borussia mette le idee. Vende i migliori e vince. Poi ci sarebbero anche Klopp e Heynckes, due personaggi di sport veramente positivi. Sorridenti, leali, dal volto pulito, sportivi. Heynckes lo conosciamo tutti, eppure sembra più moderno di tanti allenatori giunti alla ribalta, Klopp, invece, primo anno sesto, secondo anno quinto, da noi non sarebbe arrivato a fare neanche due anno sulla stessa panchina. Poi due scudetti e quest’anno la “consolazione” della Champions dopo il -20 in campionato.

La politica della serietà, degli investimenti e della redditività, insomma, funziona. Un trionfo anche in senso più globale, se si pensa che le banche spagnole indebitate con quelle tedesche (come lo sono le nostre) indirettamente indebitano i loro club con quelli di altri paesi. È una chiave di lettura magari un po’ forzata ma interessante, quella di tracciare parallelismi tra calcio e politica. Borussia e Bayern, a livello territoriale, sono espressione di Renania Settentrionale – Vestfalia e Baviera, rispettivamente prima e seconda regione più produttive di quella che è la locomotiva dell’economia europea: la Germania, appunto. Restano fuori, invece, due big del calibro di Real e Barça. Società dai palmares scintillanti, ma dai conti non altrettanto ineccepibili. Due club che, meno di un anno fa, erano stati investiti da uno scandalo clamoroso, la bufera sugli aiuti concessi dall’Unione Europea alle banche spagnole: queste, invece di utilizzarli per rilanciare l’economia iberica, li avrebbero usati con estrema disinvoltura per concedere ingenti prestiti alle due società. Per pagarne i debiti e gli stipendi milionari. Detto questo, non bisogna trarne conclusioni sbrigative e superficiali. Sarebbe eccessivo arrivare a dire che in finale ci sono due tedesche perché la Germania è il traino dell’economia continentale. È però legittimo limitarsi a rilevare che, comunque, mai come oggi gli assetti dell’Europa calcistica sembrano ricalcare quelli dell’Europa politica ed economica. Se non altro, perché ormai è un dato di fatto. Vi starete chiedendo ancora quale sia la squadra migliore e se abbia vinto veramente la squadra migliore. Che importa. è certo, però, che si siano incontrate le due squadre migliori. E che abbia vinto quella che ha sbagliato meno sottoporta, per demeriti propri più che per meriti della difesa avversaria.

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